martedì 28 aprile 2009

Comunicato dei Giovani Comunisti/e (organizzazione giovanile del Partito della Rifondazione Comunista) - circolo di Urbino.


I Giovani Comunisti/e di Urbino, alla luce dell'accordo col PD di Urbino imposto dalla Federazione provinciale del PRC, condannano senza riserve tale sopraffazione. Si tratta infatti di una scelta gravissima a) nel merito e b) nel metodo.
Per quanto riguarda il merito, considerati gli insufficienti risultati politici ottenuti finora, riteniamo l'alleanza con il PD essere non solo sbagliata su di un piano meramente tattico ma anche pericolosa per la credibilità del Partito e, di conseguenza, per la sua stessa esistenza futura. Di più: se il PRC non è riuscito ad ottenere risultati soddisfacenti condividendo esperienze di governo con i DS come potrebbe pensare che sia possibile migliorare la situazione alleandosi con il PD (un partito, questo, ancora più moderato)?
Quanto al metodo, deploriamo tale imposizione dal momento che, non essendo stata riconosciuta la volontà politica del circolo, si è oggettivamente lesa la sua autonomia. Non va dimenticato infatti che sia il Direttivo del circolo di Urbino sia i suoi iscritti (in un'assemblea partecipata dall'80% dei tesserati) si sono espressi in modo esplicitamente contrario all'accordo aprioristico con il PD di questa città.
Deve essere chiaro che non resteremo a braccia conserte e che ci impegneremo, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, a fare tutto il possibile per osteggiare quella minoranza del Partito che, forte dell'appoggio della Federazione provinciale, si è imposta sulla sua maggioranza.
Chi non è in grado di assumere un comportamento democratico all'interno del suo Partito con quale credibilità può pensare di farlo all'esterno?

Firmato:
Leonardo Pegoraro
Emiliano Alessandroni
Nicola Serafini
Umberto Andreani
Fabio Marcheggiani
Andrea Petrucci
Valentina Campetelli
Lorenzo Della Chiara
Sergio Gutierrez
Werner Warnots
Manuela De Gioia
Marco Natale

venerdì 13 febbraio 2009

Recensione all'ultimo libro di Domenico Losurdo



Stalin e l’Occidente liberale tra rimozioni e miti

di Leonardo Pegoraro


Pubblicato su Contropiano Anno17 - N° 1
03.02.2009


Vien da pensare al ritratto di Robespierre quale mostro genocida, tracciato in modo concordante - nella Francia del 1794 - dai suoi oppositori di sinistra (i babeufiani) e di destra (i termidoriani). Solo che ora sono gli “antistalinisti comunisti” (più o meno trockijisti e chrusceviani) e gli “antistalinisti liberali” a ritrarre il successore di Lenin come un «enorme, cupo, capriccioso, degenerato mostro umano». Di conseguenza, come Hannah Arendt elabora il concetto di totalitarismo e il connesso teorema delle affinità elettive tra Stalin ed Hitler, Trockij ricorre dal canto suo alla categoria di «dittatura totalitaria», distinguendo nell’ambito di questo genus tra la species «stalinista» e quella «fascista» (e soprattutto hitleriana). E pensare che Stalin, prima della scoppio della Guerra fredda e soprattutto del Rapporto Chruscev (1956), poteva godere di rispetto o addirittura di apprezzamenti persino tra le file dei suoi nemici, quali Churchill, la stessa Arendt o Bobbio da una parte e, dall’altra, il trockijsta Deutscher!

È da queste premesse, sostiene Domenico Losurdo, che dovrebbe prendere le mosse un’analisi equilibrata della figura dello statista russo (Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci, Roma 2008, pp. 382, euro 29,5, con un saggio di Luciano Canfora). Losurdo si propone anzitutto di smontare gli stereotipi e i luoghi comuni eretti dalla storiografia oggi dominante a verità indiscutibile. Lo storico che si trova di fronte ad atteggiamenti manichei quali la demonizzazione o l'apologia di Stalin, infatti, dovrebbe preoccuparsi di prendere le distanze da entrambi piuttosto che propendere per l’uno o per l’altro. Da qui la necessità epistemologica, più volte ribadita in questo libro, di ricorrere ad un approccio comparatistico a tutto campo.

Nell’analizzare uno dei luoghi comuni più duri a morire, quello del «culto della personalità», ad esempio, Losurdo si chiede: ma se Stalin è davvero vanesio e affetto da tali manie narcisistiche come spiegare il suo rifiuto, a conclusione della Grande guerra patriottica, del titolo di «eroe dell’Unione Sovietica»? Rimossa dalla storiografia dominante è poi la sua volontà, a differenza di Truman e Churchill, di rifuggire ogni «enfasi retorica […] in occasione della conferenza di Potsdam». E nonostante autori liberali quali Giovanni Sartori si ostinino a parlare di leninismo-stalinismo, dà poi da pensare il fatto che Stalin risponda in malo modo a chi, come Kaganovic, gli proponeva di istituire questa nuova categoria («vuoi paragonare il cazzo con la torre dei pompieri»!). La necessità della comparatistica, del resto, non può risparmiare gli Stati Uniti di F.D. Roosevelt. Con lui, a detta almeno dei suoi avversari, a causa del largo abuso del potere esecutivo «totalitarismo e culto della personalità avevano attraversato l’atlantico»: «ciò avviene in occasione della Grande crisi (allorché a pronunciare l’atto d’accusa è in particolare l’ex presidente Hoover) e soprattutto nei mesi che precedono l’intervento nel secondo conflitto mondiale (allorché il senatore Burton K. Wheeler accusa F.D. Roosevelt di esercitare un “potere dittatoriale” e di promuovere una “forma totalitaria di governo”)». Non a caso «la gente della strada» guarda «a lui “quasi come si guarda a Dio”» e spera «di poterlo un giorno collocare “nel Pantheon degli immortali, accanto a Gesù”».

Tuttavia, tiene a precisare subito Losurdo, la personalizzazione del potere e il culto della personalità si presentano «solo in forma embrionale nella Repubblica nordamericana, protetta dall’oceano da ogni tentativo di invasione e con alle spalle una tradizione politica ben diversa da quella della Russia». Ciò ci fa capire che utilizzare correttamente un approccio comparatistico non significa solo ed esclusivamente analizzare un fenomeno storico secondo diversificati parametri spazio-temporali, cioè a dire in differenti periodi storici e in più paesi. C’è di più: occorre tenere in considerazione quali sono le condizioni oggettive in cui versa il paese in esame, dal momento che «è metodologicamente scorretta una comparatistica che mette a confronto una condizione di normalità e uno stato acuto d’eccezione».

Se dunque la consueta comparatistica, tutta impegnata a costruire il «mito dei mostri gemelli» tramite la «reducio ad hitlerum» di Stalin, si ostina ad evidenziare esclusivamente le analogie tra l’esperienza stalinista (e, per sineddoche, del comunismo nel suo complesso) e quella nazista, Losurdo inserisce nel dibattito storico ciò che definisce il «Terzo assente», ossia l’Occidente liberale. Il risultato di questa operazione risulta del tutto inaspettato se si passa in rassegna una ricostruzione storica comparata dell’universo concentrazionario. Si scopre cioè che se a caratterizzare il Gulag è la despecificazione su base politico-morale, a caratterizzare il Lager tedesco e in parte anche quello statunitense (si pensi agli americani di origine giapponese fatti deportare da F.D. Roosevelt nei campi di concentramento fino addirittura al 1948) è invece la despecificazione su base naturalistico-razziale. Se cioè, scrive Losurdo, «il detenuto nel Gulag è un potenziale “compagno” [la guardia era tenuta a chiamarlo in questo modo] e dopo il 1937 [l’inizio del biennio del Grande terrore che segue l’assassinio di Kirov] è comunque un “cittadino”, il detenuto nel Lager nazista è in primo luogo l’Untermensch, segnato per sempre dalla sua collocazione o degenerazione razziale». In altre parole, mentre il Gulag sovietico non esclude la possibilità di salvezza o persino di promozione sociale, all’ebreo nel Lager nazista, come per lungo tempo al nero schiavizzato nel Sud degli USA, non è offerta alcuna via di fuga o di emancipazione.

Ciò, sia chiaro, non significa affatto esimersi dal condannare l’universo concentrazionario sovietico. Ma volendo istituire un paragone tra le diverse esperienze concentrazionarie, l’analogia sembra più pertinente non già tra il Gulag sovietico e il Lager nazista, bensì tra quest’ultimo e l’universo concentrazionario coloniale. E’ dunque l’Occidente liberale e non certo l’URSS a ricorrere ad una categoria, quella di razza, che è centrale nel discorso nazista: negli USA «i giapponesi sono bollati in quanto “subumani” […] E a questo discorso siamo di nuovo ricondotti allorché vediamo F.D. Roosevelt accarezzare l’idea della “castrazione” da infliggere ai tedeschi”». Non a caso Stalin dichiara, sulla scia di Lenin, l’esigenza di mettere sullo stesso piano «bianchi e negri, europei e asiatici», «”civili” e “non civili”», mentre Churchill celebra nello stesso periodo la superiorità del «popolo bianco di lingua inglese (white English-Speaking people)». O ancora, se il dirigente dell’URSS descrive il Primo conflitto mondiale e la società liberale e borghese che l’ha generato come un «sanguinoso massacro» e uno «sterminio di massa delle forze vive dei popoli», Churchill afferma invece con entusiasmo che «la guerra è un gioco nel corso del quale si deve sorridere».

A leggere l’ultimo libro di Losurdo si apprende molto non solo della storia dell’URSS staliniana ma anche della pochezza dell’ideologia liberale oggi dominante. Nel celebrare la propria infinita superiorità morale, questa sembra voler assimilare i “mostri del totalitarismo” anzitutto per rimuovere i lati più oscuri e imbarazzanti della propria storia.

lunedì 1 dicembre 2008



L’appello lanciato da Urbino: comunisti e comuniste uniamoci!

di Leonardo Pegoraro, coordinatore Giovani Comunisti PRC di Urbino

già pubblicato sul sito de L'ernesto

Report dell’iniziativa de l’Ernesto “scenari della crisi globale”, Urbino 21 novembre 2008

«Nel 1453, i turchi assediavano Costantinopoli, la capitale dell’Impero romano d’Oriente, un impero millenario. Quando i turchi sfondarono finalmente le porte della città ed irruppero nel cuore di quell’antichissima civiltà, l’imperatore, che avrebbe dovuto impegnarsi a difendere la città, se ne stava invece chiuso nel concistoro con i cardinali a discorrere di un tema che poi sarebbe passato alla storia: discutevano quale fosse il sesso degli angeli». Sono parole di Oliviero Diliberto, non intento in un’improbabile lezione di storia medievale ma impegnato a evidenziare l’assurdità dell’attuale diaspora comunista italiana, a partire dalla divisione dei due maggiori partiti, PdCI e PRC. «Caro compagno Russo Spena» – continua il segretario del PdCI concludendo il suo intervento – «ha ancora senso restare separati?». Non riesce a terminare l’ultima parola che scatta immediatamente l’applauso più forte e sentito della serata da parte delle oltre cento persone presenti in sala.

Un pubblico numeroso (variegato ma ricco soprattutto di giovani) quello che ha partecipato, nel pomeriggio ventoso di venerdì 21 Novembre, all’iniziativa organizzata da l’Ernesto di Urbino e dall’associazione la Macchina Mondiale presso la Sala Serpieri della città ducale. Una conferenza coordinata da Stefano G. Azzarà e che ha avuto come ospiti uomini politici e intellettuali della caratura di Oliviero Diliberto, di Domenico Losurdo, di Giovanni Russo Spena e di Sergio Cararo. Il tema all’ordine del dibattito: «Scenari della crisi globale: dal crack finanziario alla democrazia autoritaria? Trasformazioni del liberalismo».

Il compito di aprire la discussione e analizzare, da un punto di vista segnatamente economico, la natura della crisi economica odierna è spettato a Cararo il quale ha saggiamente sottolineato come, a dispetto della vulgata mainstream, il crack finanziario rappresenti solo l’epifenomeno di una crisi che affonda le sue vere radici in una recessione dell’economia reale di durata ormai decennale. Dagli shock petroliferi del ’73 e del ’79, il saggio di profitto dei paesi a capitalismo avanzato è infatti andato progressivamente diminuendo. Ciò ha provocato come conseguenza l’urgenza, da parte delle classi dominanti, di abbattere il costo del lavoro, cosa che ha innestato a sua volta una vera e propria crisi di sovrapproduzione. Gli effetti che oggi sotto gli occhi di tutti ne sono le prime conseguenze.

Russo Spena, confermando l’ottima analisi di Cararo, ha sottolineato come rappresentino una vera e propria mistificazione le spiegazioni di coloro che vedono le ragioni della crisi esclusivamente nella mera assenza di regole e controlli dell’economia. Ha continuato poi, mettendolo in connessione con i processi di abbattimento del costo del lavoro, denunciando il vero e proprio “razzismo di Stato” nei confronti dei migranti introdotto dalla “semischiavistica” legge Bossi-Fini. Essa, come altri provvedimenti del governo italiano come di altri governi occidentali, comporta una sorta di sospensione dell’habeas corpus, una misura alla quale troppo spesso ricorrono le odierne “democrazie” (basti solo pensare al lager di Guantanamo o ai nostri CPT).

La parola passa a questo punto a Domenico Losurdo che evidenzia - senza voler comunque suggerire alcun automatismo - come altre due grandi crisi economiche, quella del 1873 e quella del 1929, abbiano contribuito a far scoppiare, rispettivamente, la Prima la Seconda guerra mondiale. Nel parlare del risveglio dei popoli colonizzati, Losurdo torna poi sul nesso tra imperialismo e sottosviluppo e cita il celebre aforisma di Frantz Fanon che così sintetizzava il pensiero e l’azione dei carnefici del suo popolo: «Giacché volete l’indipendenza , prendetevela e crepate!». Losurdo si impegna perciò a dimostrare, riferendosi per esempio alle scelte adottate dal Pc cinese, come nessun paese che aspiri all’indipendenza politica possa fare a meno di quella industriale e del connesso benessere economico. Sottolinea infine come gli Stati Uniti, non più egemoni sul piano economico (come confermato dall’attuale crisi), continuino ad esserlo però su quello bellico, dato che il loro budget militare comprende ancora oggi la metà delle spese militari di tutti i paesi del mondo.

Azzarà interpella infine Diliberto che, approfondendo alcune sfaccettature d’analisi del crack finanziario e introducendone di nuove, avanza una proposta realistica e costruttiva di nazionalizzazione, per così dire, soft dei settori in crisi: «lo Stato» – dice - «non si limiti a comprare azioni delle banche ma inizi anche a sedersi nei loro consigli di amministrazione». Conclude infine con l’appello all’unità comunista di cui abbiamo parlato, lanciando un monito importante: «costruiamo, non dico un grande, ma almeno un meno piccolo» - Losurdo sorride - «Partito Comunista!».

Una giornata ventosa quella di venerdì a Urbino. Anche dentro la Sala Serpieri spirava vento. Un vento di forte cambiamento che spingeva all’unità perché…non c’è lotta senza unità e non c’è unità senza lotta!


venerdì 7 novembre 2008




La Casa Nera


Barack Obama, la cricca di imperialisti e nazisionisti che lo sostiene e la critica dei “realisti utopisti” di sinistra

di Leonardo Pegoraro (GC Urbino)

"Dopo che pianti un coltello nella schiena di qualcuno per nove pollici, e lo tiri fuori di sei pollici, non dici che stai facendo progressi". (Malcolm X)

“Non c'è alcuna differenza fra Democratici e Repubblicani” (George C. Wallace)

Sembra di vivere nell'omonimo film (che sconsiglio) di Wes Craven, dove si ha sì l'idea di essere di fronte ad uno spettacolo di serie B, ma almeno con l'illusione, gonfiata dalle smaccate dichiarazioni d'intenti dell'autore, di assistere ad una “critica” dei mali della società capitalista, come infatti paiono confermare le prime scene. Il protagonista è un nero. E il film una grande bufala grottesca arricchita da un connubio di humor nero e di scene terrorizzanti. Non è poi così azzardato questo paragone tra La Casa Nera di Craven e quella (fino all'altro giorno Bianca) conquistata da Obama. Così come macabre sono alcune scene del film, “macabre danze di bandiere, palloncini e stronzate, create appositamente per camuffare un venalissimo sistema basato su denaro e potere, per dividere la gente e perpetuare una cultura guerrafondaia” vengono infatti da John Pilger definite le campagne per l'elezione presidenziale negli USA. Il film dell'orrore non finisce qui: come ha fatto saggiamente notare Mickey Z., Obama riesce a conquistare l'appoggio del Partito Comunista degli Stati Uniti (il CPUSA sembra soffrire della stessa logica di “riduzione del danno” di bertinottiana memoria) e il consenso di grandi aquile del pensiero critico quali Zinn e Chomsky, riuscendo così nel suo ruolo di “specchietto per le allodole” affidatogli dalla classe dominante statunitense. Un “burattino” appeso ai fili manovrati con raccapricciante abilità da Wall Street e dai (nazi)sionisti del regime americano. L'elenco è lungo, ma credo valga la pena almeno accennare a qualche personaggio a tal proposito esemplare. I nomi si commentano da sé: Brzezinksi, co-fondatore della Trilateral Commission e Segretario di Stato sotto la presidenza di Jimmy Carter; il milionario Soros; Cutler, favorevole all'aumento del costo dell'assistenza sanitaria; Liebman, favorevole alla privatizzazione, sia pur parziale, della sicurezza sociale; Rudman, una figura chiave della rivoluzione conservatrice attorno a Gingrich; Rohatyn, sostenitore di Pinochet; infine a proposito di sionisti, Denis Ross, consigliere degli ultimi tre presidenti degli USA (Clinton e i due Bush). E non manca neanche il 65° Segretario di Stato: “se vinco, Powell sarà mio consigliere” aveva dichiarato Obama. Non c'è dubbio: il Partito Democratico, scrive Fulvio Grimaldi, è “un partito imperialista del grande business cui spetta il ruolo di illudere e attirare i lavoratori, le minoranze, l’intellighenzia e gli oppressi in generale. Non per nulla, dietro la faccia nera di Obama spunta quella bianchissima del suo vice, Joe Biden, un senatore che per tutta la sua vita è stato fomentatore di guerre, di misure di rapina sociale, famiglio di Israele e sostenitore del genocidio Iran-Usa-Contras in Nicaragua”. A questo punto una domanda s'impone: che effetto fa a Zinn, Chomsky al CPUSA e agli altri sedicenti “intellettuali progressisti” trovarsi in compagnia di criminali e miseri figuri come questi? Per dirla, questa volta, con James Petras, “essi sono quelli che C. Wright Mills definì 'realisti insani' (crackpot realists), che abdicano alla loro responsabilità di intellettuali critici. [...] Inoltre essi sono alleati dei mass media, dei maggiori partiti e del sistema legale che ha marginalizzato o deliberatamente escluso i candidati alternativi, Ralph Nader e Cynthia McKinney, che si oppongono esplicitamente alla guerra e ai piani di salvataggio in favore di Wall Street e propongono autentici investimenti pubblici su grande scala nell'economia domestica, un programma sanitario universale tipo single payer, politiche economiche sostenibili e favorevoli all'ambiente e politiche redistributive del reddito a lungo termine e ad ampio raggio”. Trattasi di un “realismo”, oltre che insano, del tutto utopista poiché fa astrazione dai reali rapporti di forza delle classi sociali nelle odierne società capitalistiche. Rapporti di forza che, specie a partire dal crollo dell'URSS, sono sfacciatamente favorevoli al capitale e sfacciatamente sfavorevoli al lavoro. Un atteggiamento ben più realista parlerebbe quindi, per usare un'espressione coniata da Stefano G. Azzarà, di un «compromesso introvabile» in questa fase storica tra la sinistra anticapitalista e comunista e i partiti, come quello in questione, espressione degli interessi del capitale. Ma se ciò non viene capito è perché evidentemente “La Casa Nera” è riuscita, vendendo false illusioni di cambiamento, nell'intento di obnubilare il pensiero, anche quello più critico.
Ciò detto, il futuro che si preannuncia ci dovrebbe indurre a concludere che il paragone qui evidenziato tra la presidenza Obama e il film di Craven non regge però su di una cosa notevole, ovverosia il lieto fine.

domenica 26 ottobre 2008

Anche a Urbino parte la protesta contro i tagli all'Università


Diverse centinaia di studenti, docenti e lavoratori del personale tecnico-amministrativo hanno partecipato all'assemblea generale dell'ateneo di Urbino convocata dai sindacati e dai rappresentanti del personale docente e TA in Consiglio d'amministrazione.

Nel corso degli interventi sono state spiegate le ragioni della protesta contro la legge 133/2008, una legge che riduce drasticamente i finanziamenti, blocca al 20% il turnover e obbliga le università a trasformarsi in fondazioni private.

Nei prossimi giorni la protesta continua con le iniziative degli studenti presso l'aula C1 autogestita del Magistero Nuovo, mentre martedì 28 ottobre dalle ore 10.30 si terrà una nuova assemblea d'ateneo direttamente in Piazza della Repubblica.





vedi anche il blog di Studenti in Movimento: www.uniurbinlotta.blogspot.com


Visita il sito http://lernestourbino.blogspot.com/ per avere ulteriori informazioni.

mercoledì 15 ottobre 2008

L'ASSE DEL BENE: FULVIO GRIMALDI A URBINO GIOVEDI' 16 OTTOBRE

Giovedì 16 ottobre il giornalista Fulvio Grimaldi (ex tg3, ex Liberazione) sarà presente a Urbino per presentare il suo nuovo video L'ASSE DEL BENE. Cuba, Venezuela, Bolivia, Ecuador: dove la sinistra c'è e il libro "MAMMA, HO PERSO LA SINISTRA!", ed. Malatempora

La presentazione sarà preceduta da un rinfresco accompagnato dalla musica dal vivo del duo Manuel Lorenzetti e Mattia Ambrogiani. Si inizia dalle ore 20.00 nell'androne del Collegio Raffaello e si prosegue nella Sala Serpieri.

E' un'iniziativa dei Giovani e Comunisti di Urbino e dell'associazione culturale La Macchina Mondiale
NO ALLA GELMINI, SÌ ALLA SCUOLA PUBBLICA

Piero Calamandrei:
« "Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in un alloggiamento per manipoli; ma vuole istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia perfino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di stato. E magari si danno dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece cha alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo apertamente trasformare le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tenere d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi, ve l'ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico" »

(in Scuola Democratica, 20 marzo 1950. )