venerdì 7 novembre 2008




La Casa Nera


Barack Obama, la cricca di imperialisti e nazisionisti che lo sostiene e la critica dei “realisti utopisti” di sinistra

di Leonardo Pegoraro (GC Urbino)

"Dopo che pianti un coltello nella schiena di qualcuno per nove pollici, e lo tiri fuori di sei pollici, non dici che stai facendo progressi". (Malcolm X)

“Non c'è alcuna differenza fra Democratici e Repubblicani” (George C. Wallace)

Sembra di vivere nell'omonimo film (che sconsiglio) di Wes Craven, dove si ha sì l'idea di essere di fronte ad uno spettacolo di serie B, ma almeno con l'illusione, gonfiata dalle smaccate dichiarazioni d'intenti dell'autore, di assistere ad una “critica” dei mali della società capitalista, come infatti paiono confermare le prime scene. Il protagonista è un nero. E il film una grande bufala grottesca arricchita da un connubio di humor nero e di scene terrorizzanti. Non è poi così azzardato questo paragone tra La Casa Nera di Craven e quella (fino all'altro giorno Bianca) conquistata da Obama. Così come macabre sono alcune scene del film, “macabre danze di bandiere, palloncini e stronzate, create appositamente per camuffare un venalissimo sistema basato su denaro e potere, per dividere la gente e perpetuare una cultura guerrafondaia” vengono infatti da John Pilger definite le campagne per l'elezione presidenziale negli USA. Il film dell'orrore non finisce qui: come ha fatto saggiamente notare Mickey Z., Obama riesce a conquistare l'appoggio del Partito Comunista degli Stati Uniti (il CPUSA sembra soffrire della stessa logica di “riduzione del danno” di bertinottiana memoria) e il consenso di grandi aquile del pensiero critico quali Zinn e Chomsky, riuscendo così nel suo ruolo di “specchietto per le allodole” affidatogli dalla classe dominante statunitense. Un “burattino” appeso ai fili manovrati con raccapricciante abilità da Wall Street e dai (nazi)sionisti del regime americano. L'elenco è lungo, ma credo valga la pena almeno accennare a qualche personaggio a tal proposito esemplare. I nomi si commentano da sé: Brzezinksi, co-fondatore della Trilateral Commission e Segretario di Stato sotto la presidenza di Jimmy Carter; il milionario Soros; Cutler, favorevole all'aumento del costo dell'assistenza sanitaria; Liebman, favorevole alla privatizzazione, sia pur parziale, della sicurezza sociale; Rudman, una figura chiave della rivoluzione conservatrice attorno a Gingrich; Rohatyn, sostenitore di Pinochet; infine a proposito di sionisti, Denis Ross, consigliere degli ultimi tre presidenti degli USA (Clinton e i due Bush). E non manca neanche il 65° Segretario di Stato: “se vinco, Powell sarà mio consigliere” aveva dichiarato Obama. Non c'è dubbio: il Partito Democratico, scrive Fulvio Grimaldi, è “un partito imperialista del grande business cui spetta il ruolo di illudere e attirare i lavoratori, le minoranze, l’intellighenzia e gli oppressi in generale. Non per nulla, dietro la faccia nera di Obama spunta quella bianchissima del suo vice, Joe Biden, un senatore che per tutta la sua vita è stato fomentatore di guerre, di misure di rapina sociale, famiglio di Israele e sostenitore del genocidio Iran-Usa-Contras in Nicaragua”. A questo punto una domanda s'impone: che effetto fa a Zinn, Chomsky al CPUSA e agli altri sedicenti “intellettuali progressisti” trovarsi in compagnia di criminali e miseri figuri come questi? Per dirla, questa volta, con James Petras, “essi sono quelli che C. Wright Mills definì 'realisti insani' (crackpot realists), che abdicano alla loro responsabilità di intellettuali critici. [...] Inoltre essi sono alleati dei mass media, dei maggiori partiti e del sistema legale che ha marginalizzato o deliberatamente escluso i candidati alternativi, Ralph Nader e Cynthia McKinney, che si oppongono esplicitamente alla guerra e ai piani di salvataggio in favore di Wall Street e propongono autentici investimenti pubblici su grande scala nell'economia domestica, un programma sanitario universale tipo single payer, politiche economiche sostenibili e favorevoli all'ambiente e politiche redistributive del reddito a lungo termine e ad ampio raggio”. Trattasi di un “realismo”, oltre che insano, del tutto utopista poiché fa astrazione dai reali rapporti di forza delle classi sociali nelle odierne società capitalistiche. Rapporti di forza che, specie a partire dal crollo dell'URSS, sono sfacciatamente favorevoli al capitale e sfacciatamente sfavorevoli al lavoro. Un atteggiamento ben più realista parlerebbe quindi, per usare un'espressione coniata da Stefano G. Azzarà, di un «compromesso introvabile» in questa fase storica tra la sinistra anticapitalista e comunista e i partiti, come quello in questione, espressione degli interessi del capitale. Ma se ciò non viene capito è perché evidentemente “La Casa Nera” è riuscita, vendendo false illusioni di cambiamento, nell'intento di obnubilare il pensiero, anche quello più critico.
Ciò detto, il futuro che si preannuncia ci dovrebbe indurre a concludere che il paragone qui evidenziato tra la presidenza Obama e il film di Craven non regge però su di una cosa notevole, ovverosia il lieto fine.

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