venerdì 4 luglio 2008


VOTA COMUNISTA, VOTA LA TERZA MOZIONE

Spunti per un intervento congressuale


di Leonardo Pegoraro

Coordinatore dei GC di Urbino e direttore della rivista “la Macchina Mondiale”


1. Il golpe bertinottiano.

Care compagne e cari compagni,
quello che stiamo vivendo è un congresso che, come saprete, non si tiene nella sua scadenza naturale. L’inverno scorso infatti era stato rinviato sine die o, meglio, annullato dalla maggioranza del partito, attraverso un vero e proprio golpe. Perché tanto disprezzo delle regole democratiche interne? Perché i dirigenti del partito (Bertinotti in testa), di fronte alla possibilità di porre fine una volta per tutte all’esperienza teorica e pratica comunista e alla sua autonomia organizzativa, si sono giocati il tutto per tutto e, consapevoli della contrarietà di buona parte degli iscritti, proprio per questo si sono trovati “costretti” a violare ogni regola democratica sancita dallo statuto del nostro partito, al fine di trasformarlo così, con un colpo di mano, da Rifondazione Comunista a Liquidazione Comunista. Sempre e solo senza consultare minimamente la sua base. Sciogliendo il partito cioè, in modo verticistico e politicistico dentro la Sinistra Arcobaleno, un contenitore, questo, non più comunista, vagamente di sinistra, moderato e programmaticamente subalterno alla logica del sistema - si pensi solo al punto in cui si diceva che dovevamo approvare la guerra se questa era avallata dall’ONU. È chiaro: questo era il prezzo pagato per fondersi a freddo con chi come Mussi, un filo-imperialista guerrafondaio, che, dopo aver lottato per lo scioglimento del PCI e dopo aver condiviso tutta la storia del PDS prima e dei DS poi, aveva votato e appoggiato a spada tratta il bombardando criminale su Belgrado e la carneficina di civili innocenti - ancora oggi colpiti dagli effetti disastrosi dell’uranio impoverito sganciato su quelle terre con la diretta responsabilità del governo D’Alema!
Non c’è dubbio che il prezzo pagato per la costruzione della sinistra Arcobaleno è stato altissimo: sia, come ho appena dimostrato, in termini programmatici, sia in termini elettorali (un misero 3,1%) sia, come dicevo, relativamente al rispetto dello statuto del partito e della democrazia interna. Vorrei ricordare che su quest’ultimo punto è accaduto un fatto gravissimo. Nella sua relazione al CPN su “criteri e modalità per le candidature” il compagno Francesco Ferrara, membro della Segreteria nazionale e responsabile dell’Organizzazione, a proposito del “pluralismo interno”, ha affermato:

“ Penso […] che quelle compagne/i che […] si esercitano in una effettiva opposizione all’impianto complessivo delle modalità democratiche e delle modalità che ci siamo dati sul versante della politica, non possano per loro stessa legittima scelta, rappresentare il partito nella compagine parlamentare”.

Ebbene compagni, questa affermazione del compagno Ferrara viola l’art.3 dello Statuto, viola l’art.5, l’art.7 e l’art.8. Quest’ultimo garantisce infatti il diritto alla “pluralità delle posizioni che possono esprimersi liberamente e in modo trasparente attraverso diverse forme di aggregazioni o tendenze, sia in fase congressuale sia nel corso di dibattiti su questioni di grande rilevanza politica”. Viola infine anche l’art.57 che, in materia specifica di “cariche pubbliche ed elettive”, sostiene che “nel rispetto del vincolo di maggioranza sulle alleanze e le scelte politiche approvate dagli organismi dirigenti, nelle cariche elettive vanno valorizzate le pluralità delle esperienze e delle soggettività interne al partito”.
Insomma, la dirigenza, alle ultime elezioni politiche, distinguendo tra “minoranze buone” e “minoranze cattive” poteva così giustificare la non-candidatura dei rappresentanti de L’ernesto: a partire da Fosco Giannini e Gian Luigi Pegolo – ora tra i firmatari della terza mozione -, i quali, non vendendosi e non cedendo al ricatto della maggioranza, avevano coerentemente aderito a una manifestazione che chiedeva di mantenere nomi, simboli e contenuti programmatici comunisti. La loro non-candidatura ha rappresentato un orrore antidemocratico che, assieme agli allontanamenti e alle vere e proprie espulsioni, ricorda senza dubbio le pagine più buie dell’esperienza del socialismo reale. Non c’è dubbio che sono pratiche, queste, come quella, per l’appunto, dell’espulsione di compagni che non si adeguano ideologicamente ai dettami del leader carismatico indiscusso, che non appartengono di certo alla migliore tradizione del socialismo realizzato. A questo proposito va notato come la situazione farsesca che stiamo vivendo vuole che, dopo aver dichiarato a destra e a manca che Lenin e gli altri protagonisti del movimento comunista del Novecento sono tutti morti non solo fisicamente, dopo aver cancellato con un colpo di spugna l’esperienza pratica - e in larghissima misura teorica - del comunismo, c’è chi ha saputo sì distaccarsene, ma affossandone i meriti ed ereditandone gli aspetti peggiori. Alla faccia della critica allo stalinismo! Mi sembra chiaro che siamo di fronte ad una prova di ipocrisia difficilmente ineguagliata e ineguagliabile.

2. La mozione Ferrero-Grassi e la mozione Vendola. Due facce di una stessa medaglia.

Veniamo al congresso che stiamo affrontando e diamo una scorsa alle prime due mozioni. La ex-maggioranza bertinottiana del partito si è scissa in due componenti che si presentano in due diverse mozioni: la prima e la seconda, rispettivamente Ferrero e Vendola. Ma, in realtà, dire che sono diverse significherebbe mistificare la realtà. Non possiamo infatti considerarle come due mozioni contrapposte perché emerge facilmente, anche dopo una prima lettura superficiale, quanto relativamente alla linea strategica proposta si muovano sulla stessa lunghezza d’onda. Quel che le differenzia è invece il modo, la tempistica e la tattica che si propongono di attuare per raggiungere il medesimo fine: cioè a dire il superamento dell’autonomia organizzativa comunista attraverso una fusione a freddo delle forze di sinistra, come infatti propone esplicitamente la seconda mozione (Vendola) o una federazione, come propone la prima mozione (Ferrero - Grassi). Insomma, sono due facce di una stessa medaglia in quanto due varianti di una stessa prospettiva strategica. Quindi, anche ammesso che questa “differenza” sia reale e sentita e che non sia solo inscenata ad hoc per permettere sempre agli stessi di occupare i posti di potere più alti, ciò che, nei fatti, le distingue è una sorta di dissenso empirico: si condivide cioè lo stesso progetto ma non il processo attraverso cui attuarlo. Si ragiona all’interno di una stessa cornice concettuale.
Va comunque osservato che se, da un lato, Vendola ha il vizio della cecità dovuta all’incapacità di fare un minimo di autocritica, dall’altro lato, ha la virtù della sincerità e della trasparenza: dice infatti che è necessario superare definitivamente ogni riferimento culturale e pratico comunista e rifondare una sinistra senza aggettivi, all’insegna della moderazione e del dialogo con il PD. Si ripropone, in soldoni, il progetto della Sinistra Arcobaleno, cambiandogli solo il nome. La prima mozione invece è più ambigua e perciò più pericolosa. Procede ad un’ autocritica ipocritamente tardiva e per di più incompleta. L’autocritica giunge in ritardo: solo dopo la catastrofe e nel momento in cui ci si candida a guidare il partito, quando coloro che sostengono oggi la terza mozione avevano aspramente criticato gli errori della maggioranza fin dall’inizio, passo dopo passo, e costretti per questo a subire l’emarginazione, l’allontanamento, l’espulsione o ancora la non-candidatura, secondo una logica maggioritaria e antidemocratica di cui Ferrero è sempre stato colpevole sostenitore. La finta autocritica è poi del tutto incompleta perché, come dicevo, non stigmatizza il progetto in sé della Sinistra Arcobaleno; per usare le stesse parole del primo documento, si parla infatti della necessità di “rovesciare il processo” e non il progetto della Sinistra Arcobaleno; si parla poi di “rifondazione della sinistra” e mai, neanche per sbaglio, di rifondazione di un partito comunista; viene proposta la costruzione di “case della sinistra”. E infine si riabilita l’ormai moribondo “percorso della Sinistra Europea”! Come se questa non fosse stata il primo tassello di un percorso che ha poi visto il suo apice catastrofico e fallimentare nella costruzione della Sinistra Arcobaleno! Entrambi questi progetti, strategicamente l’uno lo specchio dell’altro, hanno diviso i comunisti, li hanno indeboliti e privati della loro autonomia. A questo proposito, basti pensare al fatto che la Sinistra Europea invece che unire i partiti comunisti europei ne ha tenuto una metà fuori. E relativamente alla Sinistra Arcobaleno, si pensi solo al fatto che la somma dei voti presi da Sinistra Critica e dal Partito Comunista dei Lavoratori, l’1,1%, cioè il 20% dei consensi che aveva ottenuto Rifondazione nelle elezioni del 2006, sarebbe bastato per farci raggiungere il quorum alle ultime elezioni.

3. L’infondatezza della critica alla “costituente comunista”.

Da queste valutazioni emerge con chiarezza quanto sia del tutto campato in aria, settario e, in ultima analisi, utopistico il sostenere, come fa il documento Ferrero-Grassi, che la proposta della “costituente di sinistra” del secondo documento, così come la “costituente comunista” del terzo documento propongano la spaccatura della sinistra e che questa vada invece tenuta unita, in un unico contenitore. Ma non l’hanno ancora capito che le forze alla sinistra del PD si compongono di due anime differenti? Una è quella comunista e l’altra è quella non comunista. Questa differenza è nella natura delle cose e non va ostacolata in modo artificiale. Va anzi favorita. Altrimenti non sarà neanche possibile promuovere quel patto di unità d’azione tra le forze della sinistra, un patto su base programmatica che, oggi, di fronte all’avanzata di una destra tra le più reazionarie d’Europa, è sempre più urgente. Solo un patto di unità d’azione dei partiti di sinistra e dei movimenti garantisce e salvaguardia l’autonomia di ognuno, evitando così precipitazioni organizzativistiche e la pericolosa gabbia della “riduzione ad uno”, che, storicamente, una verità confermata anche dalle ultime elezioni, ha sempre portato male. Voglio dire che non si può pensare di concentrare in un unico contenitore due anime che, sì, possono avere dei punti in comune - ed è su questi che va costruito un’alleanza su base, appunto, programmatica - ma che restano strategicamente diverse. Infatti l’anima comunista si pone di fronte al mondo e alle battaglie che dobbiamo affrontare con un atteggiamento radicalmente volto al superamento del capitalismo. L’anima di sinistra-non comunista si pone invece con un atteggiamento compatibilmente volto, tutt’al più, a contrastare gli effetti, per così dire, più selvaggi del capitalismo, facendo arrendevolmente di questo un fine, l’ultimo passo, la strategia e non, tutt’al più, un mezzo, il primo passo, la tattica per perseguire la costruzione di una società e di un modello di stato nuovo in senso comunista. Da una parte abbiamo quindi una logica compatibilista (di stampo socialdemocratico o meglio, non comunista) dall’altra abbiamo invece una logica radicalista (di stampo comunista).
Quindi, come si vede, anche se a qualcuno potrà sembrare paradossale, è proprio la proposta della mozione Ferrero-Grassi a produrre, se attuata, una pericolosa spaccatura della sinistra, a partire da quella comunista.
Perché invece non iniziamo ad unirci proprio noi comunisti, visto che ci chiamiamo allo stesso modo?! Noi sì possiamo convivere, nonostante le divergenze sul piano tattico che pure esistono e sempre sono esistite, in un unico partito ed essere poi i pionieri e i promotori della necessaria unità di tutta la sinistra italiana.
Ma sentite come il documento Ferrero liquida la proposta della costituente comunista: è “sbagliata perché fondata esclusivamente su base ideologica e simbolica, priva di respiro programmatico e di apertura ai movimenti”. Ad essere ideologica (nel senso deteriore del termine, come sottolineava Gramsci) sembra invece essere quest’unica argomentazione apportata dai ferreriani e dai grassiani, dal momento che, se solo i primi avessero messo da parte l’anticomunismo e i secondi l’opportunismo, non avrebbero mai potuto sostenere una falsità del genere, perché l’appello Comunisti Uniti, da noi della terza mozione ampiamente sostenuto, dopo aver esordito dicendo: “ siamo comuniste e comunisti del nostro tempo. Abbiamo scelto di stare nei movimenti e nel conflitto sociale”, afferma esplicitamente di rivolgersi “ai movimenti giovanili, femministi, ambientalisti, per i diritti civili e di lotta contro ogni discriminazione sessuale… ai movimenti contro la guerra, internazionalisti”. Da queste poche parole dell’appello vi sembra che questo sia caratterizzato da un approccio privo di un respiro programmatico e chiuso ai movimenti?
Non è credibile chi mente spudoratamente: la prima mozione insabbia la realtà, dice di voler mantenere in piedi Rifondazione ma all’interno di una federazione che renderebbe il partito solo un giocattolo per i militanti al fine di abituarli, nel tempo, a convergere tutti in un unico soggetto vagamente di sinistra. Lo stesso, ripeto, che vogliono costruire i vendoliani – non a caso fino all’altro ieri entrambi erano parte della stessa maggioranza. Ma se i primi lo vogliono fare dal basso e dopo un po’ di tempo, gli altri dall’alto e subito. Per dirla con il Gramsci del Congresso di Lione del PCI, in un caso come nell’altro ci troviamo di fronte all’ “affioramento di deviazioni di destra” dal momento che “una vera e propria piattaforma di destra” vorrebbe far passare l’idea che “la socialdemocrazia non deve essere ritenuta come l’ala sinistra della borghesia, ma come l’ala destra del proletariato”.

4. L’AKEL, il PCP, IL KKE e la Sinistra Europea. Due prospettive strategiche divergenti.

Se non fosse in pericolo l’esistenza futura di un partito comunista in Italia, farebbe sorridere osservare, sempre nel primo documento, come alle esperienze di partiti comunisti marxisti-leninisti europei quali l’AKEL di Cipro, che ha conquistato da poco la presidenza del paese, il Partito Comunista Portoghese (PCP) e quello Greco (KKE), ben lontani da ogni tentativo di liquidazione comunista e, sul piano tattico, di alleanza con il centro- sinistra dei rispettivi paesi, venga accostata la Sinistra Europea che, proprio per il suo essere un progetto politico non comunista, è stata ampiamente e coerentemente osteggiata proprio da questi partiti che pure il documento sembra elogiare senza dire però che se resistono e anzi aumentano i loro consensi è proprio perché non rinnegano la loro identità e respingono ogni ipotesi di tipo federativo delle sinistre perché questo significa perdere autonomia e sovranità e ogni ipotesi di “partito-leggero”, suscettibile di degenerazioni leaderisitiche e plebiscitarie. Ferrero, al contrario, su questo è stato chiaro: “penso a una federazione con soggetti diversi […]. Si può pesare al 50% la partecipazione dei partiti e dei singoli”.
A questo punto spesso veniamo accusati di essere identitari. Ora, per dimostrare che cancellare un nome e un simbolo non è solo una questione formale ma di sostanza potrei ricordarvi la triste deriva del PCI divenuto PDS, DS e infine PD. Voglio invece parlarvi di un fatto che è passato sotto silenzio. Il 9 Maggio del 2007, dopo la scelta del governo fascistizzante dell’Estonia di rimuovere un monumento dedicato ai caduti dell’esercito sovietico nella lotta contro la barbarie nazifascista, la Sinistra Europea insieme al greco Synaspismos (anch’esso guardato con ammirazione da Ferrero), ai gruppi dei paesi scandinavi e alla maggior parte dei deputati del PCF e della PDS tedesca vota a favore di una mozione che solidarizza con il comportamento delle autorità dell’Estonia e che condanna la più che giustificata reazione indignata dei russi. Il tutto all’insegna dell’anticomunismo e del revisionismo. Per contro, a difendere la memoria storica di un paese che, non ostante le difficoltà oggettive in cui versava, ha contribuito, in termini di vite umane, più di ogni altro alla capitolazione del nazifascismo ci hanno pensato invece oltre al Partito Comunista Ceco-Moravo e al PdCI, i comunisti greci, il Partito Comunista Portoghese e l’AKEL di Cipro. Proprio i tre partiti nominati dal primo documento accanto a Sinistra Europea senza dire però che, come abbiamo appena visto, non condividono affatto la stessa prospettiva strategica: abbiamo infatti di nuovo da una parte partiti comunisti e dall’altra un partito sì di sinistra, ma che comunista non è e che di esserlo non vuole proprio saperne. Dunque, ancora una volta è palese l’operazione di stravolgimento della realtà portata avanti dai ferreriani e dai grassiani.

5. Le contraddizioni dell’area “Essere Opportunisti”.

Quanto ai grassiani non posso non far notare come siano degli ipocriti e degli opportunisti attaccati ad ogni briciola di potere ogni volta che ve ne sia l’occasione. Grassi e Burgio hanno sempre osteggiato il progetto della Sinistra Europea e ora, come per magia, si trovano a sostenerlo a spada tratta! Essi hanno sempre rifiutato, da comunisti, la morale pacifista, o meglio “pacifinta” come ha fatto notare qualcuno (Fulvio Grimaldi), quel dogma cioè neo-ghandiano in salsa bertinottiana; un’assolutizzazione manichea che non tiene minimamente in considerazione che, come afferma giustamente Muzzioli sull’ultimo numero di Marxismo Oggi – del cui Comitato di Direzione è membro Burgio! - “la lotta per la giustizia sarà anche domani una lotta “in situazione”, storicamente circostanziata; dunque non sarà – come non è stata mai in passato – solo la volontà dei soggetti coinvolti a decidere come si esprimerà e con quali mezzi, ma anche il peso delle circostanze esterne”. Non c’è dubbio: l’area Essere Comunisti va chiamata con il suo vero nome e cioè area “Essere Opportunisti”, dal momento che, pur su posizioni culturali da sempre opposte, sostengono un documento che riprende il pacifismo come dogma. E non è finita qui: un discorso del tutto simile lo si potrebbe fare per le sfortunate vicissitudini e le peripezie che ha vissuto, suo malgrado, la categoria di imperialismo. Grassi e Burgio hanno sempre rifiutato la cancellazione di questo termine e del suo significato dal corredo ideologico del partito, eppure questo termine non ricorre mai nelle pagine del documento Ferrero-Grassi, neanche per sbaglio. Nel documento si parla solo di globalizzazione. A tal proposito si pensi solo al fatto che, neanche a farlo apposta, Gianni Fresu, tra i firmatari del primo documento e esponente di “Essere Opportunisti”, su L’ernesto del Novembre/Dicembre 2006, pubblica un suo saggio sott’intitolato: “la globalizzazione come nuova falsa coscienza dell’ideologia liberale”. Dove afferma: “globalisti e no global sono accomunati dalla condivisione di un analogo quadro analitico delle dinamiche internazionali, seppur ricondotto poi a posizioni politiche opposte. Global e non global hanno espresso in varie situazioni due approcci speculari”. Ma Fresu oggi firma un documento congressuale che affossa la categoria di imperialismo per riabilitare quella di globalizzazione. Allora esagero quando dico che siamo di fronte ad una prova di opportunismo estremo e senza ritegno?! Nel documento si parla poi di “scelta strategica di internità ai movimenti”. A questo proposito rimando a quanto scrisse Burgio relativamente alla manifestazione del G8 a Genova e al rapporto che, a suo dire, il partito doveva tenere, o meglio non doveva tenere, con i movimenti. Emerge di nuovo un cambio di linea radicale che si può spiegare ancora una volta solo con il peggiore opportunismo.

6. No ai cambiamenti gattopardeschi, sì alla rifondazione di un partito comunista.


Compagne e compagni, pensate veramente che potremo in futuro evitare gli errori passati se a dirigere questo partito ci saranno le stesse persone che lo hanno guidato fino ad ora?! E per di più con questa dose di ipocrisia e di opportunismo?! Andrebbe fatta propria più umiltà e una feroce autocritica da parte di chi ha proposto, o meglio, imposto modelli e linee politiche che hanno fallito. Anche la speranza che potesse sopravvivere la capacità di autocritica è andata in fumo dopo il processo di decomunistizzazione avviato nel corso di questi ultimi anni dalla maggioranza. L’autocritica è uno degli insegnamenti migliori della lezione marxista. Prassi – teoria – prassi non ci dice più niente? Insomma, quel che più ci deve allibire è che dopo la catastrofe elettorale della “Sinistra Arlecchino” della quale la dirigenza del Partito ha tutta la responsabilità, c’è ancora chi, come Nichi Vendola e Paolo Ferrero, ha anche la faccia tosta per indicare una soluzione. Ma con quale credibilità se sono stati loro a gettarci nella catastrofe e, incapaci appunto di vera autocritica, propongono modelli che poco si distinguono da quelli finora (invano) sperimentati o che, peggio, come abbiamo visto, si rifanno pedissequamente a questi ultimi?
Compagne e compagni, guardiamoci negli occhi, con sincerità: sappiamo che è altamente probabile che a vincere il congresso a livello nazionale - e quindi a guidare il partito - sarà la prima o la seconda mozione. E sappiamo anche che in un caso come nell’altro a detenere le leve del comando della direzione del partito saranno sempre gli stessi. Ci ritroveremo così un partito guidato da Ferrero, Mantovani, Grassi, Burgio oppure da Vendola, Bertinotti, Migliore, Gagliardi, Gianni. O forse da tutti questi messi assieme, se è vero che vi è anche la possibilità di un accordo, o meglio, di un inciucio post-congressuale tra queste due mozioni. Il regolamento di conti inscenato tra le due ali dell’ex maggioranza, lo voglio ribadire, è fittizio e propagandistico: il fine non è mettere in discussione veramente gli errori della linea fin qui seguita, ma conquistare e consolidare posti di comando. Sembra di assistere cioè ad uno scontro fasullo inscenato in modo strumentale, volto a prendere in giro, ancora una volta, la base del partito - quel poco che resta. Cosa che ricorda molto la contrapposizione, a livello di sistema partitico nazionale, tra PD e PDL: sono anch’essi due facce di una stessa medaglia. Penso che tutto questo offenda anzitutto i soggetti che vorremmo rappresentare.
Per dirla con Che Guevara, abbiamo bisogno invece come del pane di meno arrivismo e di più ascetismo, indispensabile, quest’ultimo, a riguadagnare un minimo di credibilità tra le classi subalterne che vogliamo rappresentare.
Come afferma il principe don Fabrizio di Salina nel Gattopardo, tutto cambia perché nulla cambi.
È, purtroppo, la stessa logica pessimistica che sembra voler attanagliare l’esito di questo Congresso, che produrrà appunto un cambiamento gattopardesco.
È per questo, compagne e compagni, e mi avvio alla conclusione, che vi chiedo con tutto il cuore di non scegliere né i liquidazionisti sinceri della seconda mozione né, tanto peggio, i liquidazionisti opportunisti della prima ma di votare per i comunisti, di votare per la terza mozione. Ad essa ha aderito l’area de L’ernesto ma è allo stesso tempo trasversale rispetto alle mozioni del Congresso di Venezia: vi sono ex-compagni della prima, i ferrandiani e i turigliattiani rimasti nel partito. Parte dal basso, dall’appello di Firenze e dalla mozione di quei 100 circoli che vogliono un partito comunista all’altezza dei tempi e con basi di massa, democratico al suo interno.
La terza mozione è l’unica realmente alternativa perché è la sola ad affrontare la questione della ricostruzione di un sindacato di lotta in Italia, proponendo l’unità di tutte le aree sindacali di classe, fuori e dentro la CGIL. Per quanto riguarda, ad esempio, la CGIL pensiamo di partire dalle sue ali di sinistra: cioè a dire Lavoro e Società, la Rete 28 Aprile e la Fiom.
Vi chiedo di sostenere la terza mozione perché è l’unica che dice senza mezzi termini di lottare contro l’imperialismo, sostenendo i popoli oppressi nella loro lotta di liberazione, a partire da quelli palestinese, irakeno, afgano, haitiano e somalo. Rilanciando l’internazionalismo e la solidarietà fra i popoli e le classi lavoratrici di tutto il mondo.
È l’unica, la nostra mozione, che respinge due atteggiamenti manichei che, seppur di segno opposto, si muovono sulla stessa lunghezza d’onda, incapaci di porre in essere una seria indagine storica del nostro ruolo. Mi riferisco da una parte all’atteggiamento nostalgico e dall’altra a quello liquidazionista.
È l’unica che chiede ai dirigenti del partito di fare un passo indietro e lasciare i posti di comando a chi ha dimostrato, oltretutto con spirito di abnegazione, di avere maggiori capacità e competenze, di saper fare, grazie agli strumenti concettuali del marxismo-leninismo mai abbandonati, una lettura concreta della situazione concreta della fase che stiamo vivendo.
Noi pensiamo che occorra costruire un partito comunista in Italia, ripartendo così dal progetto originario di Rifondazione. Infatti il partito stesso della Rifondazione Comunista veniva pensato non come un soggetto autoreferenziale ma come un momento transitorio volto ad unire tutti i compagni e le compagne del paese, ponendo così fine alla diaspora comunista italiana.
Solo un partito comunista può superare l’ardua sfida di unire, fare la sintesi di tutte le istanze di conflitto e di tutte le contraddizioni assunte singolarmente dai vari movimenti unitematici, con i quali è necessario un rapporto dialettico, evitando così sia un atteggiamento di mera subordinazione sia un atteggiamento di assoluto distacco.
Oggi la sinistra italiana necessita di una forza comunista autonoma, che non nasconda i propri simboli, né la propria identità comunista perché, come dimostra ogni esperienza storica di questo tipo, il rinnegare i simboli è il primo passo per la rinnegazione degli ideali a loro connessi.
Quella che ci troviamo a dover affrontare è una sfida importante: come l’araba fenice siamo costretti a risorgere dalle nostre ceneri, mettendo insieme i tasselli dell’edificio ormai crollato per costruirne uno nuovo, magari in grado di resistere agli scossoni che hanno distrutto il primo.
E questo nuovo edificio potrà combattere le falsità dell’ideologia dominante e affrontare la lotta contro il capitalismo e gli orrori che produce solo se saprà dotarsi di un’identità comunista e rivoluzionaria!

1 commento:

ALPAN ha detto...

Secondo me si sbaglia a reputare le due mozioni di maggioranza come due facce della medesima medaglia perchè sono presenti delle differenze da tener conto e non sottovalutare. Anche se in parte condivido l'articolo scritto da Leonardo, è evidente che questo editoriale generalizza e punta il dito delle colpe sui primi due documenti per favorire la terza mozione e dar risalto alla voce dell'ala politica-intellettuale de "L'Ernesto".

La differenza principale tra i due documenti è questa...
La mozione guidata da Nichi Vendola & c. esplica chiaramente una volontà di non cambiamento, dirigendo Rifondazione verso una costituente "autodistruttiva"; invece la prima mozione propone di effettuare un passo indietro, tornare al vecchio modello di Rifondazione per studiare i motivi principali della disfatta elettorale e progettare un futuro nuovo e migliore per il partito.

Alessandro
GC Pesaro http://www.gcpesaro.blogspot.com